Thematic and methodological focus of the proposed courses/laboratories
Ogni arte possiede una struttura che trasforma i materiali extrartistici in arte appunto, dando loro forma. Ciò avviene per mezzo di artifici compositivi. È sempre stato così. Quello che caratterizza il linguaggio poetico sono i legami interni che rendono insostituibili alcuni sintagmi, siano essi verbali o figurativi. Così è anche per l’architettura. Quindi sembra piuttosto scontato che in una scuola di architettura ci si occupi di questi nessi interni, di questi artifici. Sembra banale, ma non lo è, perché poi nelle nostre scuole il linguaggio architettonico è per lo più derivato da altro (funzione, tecnica, condizioni sociali, economiche, politiche) e quindi non sussiste come problema autonomo. Al più è accettato come espressione dei tempi, come Zeitgeist: rifarsi al linguaggio della contemporaneità quale condizione naturale, inevitabile.
Invece la questione del linguaggio è importantissima per ogni architetto o artista o poeta, perché denuncia la sua posizione nel mondo. Ora il punto è che in mancanza di ideologie, di “scuole”, in grado di far coincidere linguaggio e idea di mondo, non resta che tornare a lavorare sull’organizzazione interna, sulla meccanica del testo architettonico, ovvero sugli artifici che regolano la struttura. Questo almeno sgombra il campo dalle pretensioni soggettive, quelle degli studenti e quelle dei docenti e anche non è detto che non aiuti a schiarire il problema linguistico.
È a questo proposito che si è predisposta tutta una serie di esercizi, che abbiamo chiamato Assemblages de grande jeunesse in onore di Raymond Roussel e del suo “procédé”. Esercizi che altro non sono che “macchine per comporre” in grado di dimostrare operativamente e didatticamente come, attraverso processi di natura formale, sia possibile sciogliere la carica semantica delle figure della tradizione, antica o recente. Queste macchine, a differenza degli esercizi sulla composizione di derivazione Bauhaus, che tendono a interrogare le strutture compositive a partire da una dimensione astratta, lavorano invece nello spazio sempre mobile che viene a crearsi tra i significati storicizzati delle figure e la loro componente formale, sintattica, anche materica. Si applicano quindi a universi architettonici reali. Solo la scelta dell’universo è contingente e arbitraria. Un anno è tutta la storia dell’architettura, un altro la città di Venezia, un altro ancora una selezione di architetti lombardi. Come per il bricoleur di Lévi-Strauss è in fondo il caso a predisporre l’universo strumentale.
Questo lavoro che è facile tacciare di formalismo – e va benissimo ché a Sklovskij siamo debitori in tutto – non esaurisce i compiti del progetto di architettura, che anche è chiamato a rispondere alle istanze della realtà. Ma come per il linguaggio architettonico sono le strutture interne a dover essere indagate, così per stabilire il programma di attività, la coerenza o la contraddizione di una destinazione d’uso rispetto al contesto, sono i fatti di struttura di un territorio a dover essere riconosciuti, le sue dinamiche macroeconomiche, a partire dall’accessibilità, dall’andamento demografico, dal valore aggiunto. Attenzione, non vi è derivazione meccanica tra i due ambiti. Se il progetto di architettura può ancora essere inteso quale forma di conoscenza, questa passa solo attraverso il rapporto dialettico di queste due strumentazioni.
Subjects of the Final Work covered as a thesis supervisor
Se durante il Laboratorio si fa esperienza operativa dei processi compositivi per un’architettura voluta come opera d’arte, compito della prova finale è fissare questi sul piano della teoria e della storia. Dunque, in relazione alla contingenza e alla pertinenza con quanto sperimentato in aula, tecniche e procedimenti vari (collage, straniamento, cut/up, ritardo, détournement, montaggio per conflitti ecc.), assunti da ambiti diversi (cinema, arte, letteratura) ed espressione di movimenti o di singole personalità, sono confrontati con l’ambito specifico della composizione architettonica.
Una tesi (Rapparini, 2017) ha riguardato la tecnica del collage in Rowe, Rossi, Venturi, Libeskind, Hejduk, indagata a partire dalle letture di Greenberg e Rosalind Krauss del collage cubista; attualmente una tesi (Polvani, Rosso, 2018) sta affrontando le modalità compositive della neoavanguardia italiana, nello specifico la poesia di Sanguineti e Balestrini e il montaggio del film “Verifica incerta” di Baruchello e Grifi; un’altra (Martellini, 2018) i procedimenti delle avanguardie storiche con particolare attenzione al futurismo italiano e al surrealismo, ma anche al “procedimento” di Roussel. Altre volte invece sono specifici nodi teorici a essere oggetto di tesi. La tesi di Sabatini (2017) ha riguardato, partendo dalla definizione di Colquhoun, il nodo forma/figura nel rapporto con le preesistenze; un’altra (Pavan, 2018) sta affrontando lo statuto dell’immagine (Debray, Bachelard, Barthes, Bloom).
Infine un ultimo indirizzo di tesi si prefigge di verificare le tecniche compositive alla luce della geografia delle scuole italiane di architettura. Una di queste ha come oggetto la scuola di Venezia.
Essendo tutte tesi di composizione, a seconda dei casi, può essere necessario riscontrare le acquisizioni teoriche attraverso la messa a punto di specifici prototipi didattici.