Thematic and methodological focus of the proposed courses/laboratories
Insegnare architettura, la progettazione dell’architettura, vuol dire innanzitutto sottoporre e sottoporsi alle innumerevoli domande di senso sulle autentiche radici dell’abitare dell’uomo su questa terra. Milan Kundera, ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, (Adelphi 1985) afferma che “una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro”. Con quale fine ultimo (o meglio, originario) si vogliono intraprendere continue azioni di trasformazione (così ontologicamente per loro natura distruttive) del nostro ambiente, così intrinsecamente proprietà collettiva e bene comune? Qual è l’ambito principale, il prius, in cui l’architetto ha il compito civile di muoversi e di compiere (o proporre) delle scelte per conto della società che gli ha dato (o dovrebbe avergli dato) mandato fiduciario?
E’ su queste riflessioni di partenza che la nostra metodologia didattica prende corpo incentrando il proprio sguardo inizialmente sulla necessità da sempre espressa dall’uomo di rendere “luogo” i propri spazi, i propri “vuoti” (l’heidegerriano Raum, Rum, fare spazio, predisporre l’accampamento, nella foresta), ancor prima che renderli esclusivamente “funzionali”; luoghi che siano anima di socialità, convivialità, incontro, bellezza, “senso di appartenenza”. E’ soltanto da queste considerazioni e da questa centralità che può nascere il desiderio profondo della comprensione di un territorio e del suo costituirsi; e la necessità di “soccorrerlo” con continui aggiustamenti atti ad adeguarlo, secondo contestualizzata misura, a sempre nuove articolazioni che possano corrispondere alle mutevoli condizioni umane dell’abitare.
“L’architettura – come afferma A.Siza – è rivelazione del desiderio collettivo nebulosamente latente; ciò non può essere insegnato ma si può imparare a desiderarlo”. “Il problema [diviene quindi] progettare architetture che siano capaci di generare un rapporto in cui il tutto inizia un dialogo.“
Dove il tutto deve essere in grado di iniziare un dialogo nell’accordanza con le ragioni strutturanti che hanno “dato forma” agli spazi collettivi delle conurbazioni urbane, che si sono costruite nel tempo lungo della storia, a cui i “pieni” (le costruzioni, ma non solo) sono chiamati in modo corale a collaborare donando “misura” e “figura”.
E’ soltanto da questa continua sinergia, dove didatticamente il “vuoto” e le sue articolazioni verranno continuamente interrogate come ragioni fondanti e prioritarie, che può e deve prendere inizio un progetto d’architettura inteso sempre come progetto di una porzione di mondo già esistente.
E da questa inesauribile sinergica collaborazione che devono prendere forza le ragioni del corpo architettonico, con le proprie regole disciplinari (il mestiere) ed eventuali eccezioni, sempre tese ad esprimere e ricercare innanzitutto le peculiarità dell’abitare (il progettare dall’interno Loosiano) e non il capriccio oggettistico oggi tanto in voga.
Per innescare tutto ciò deve essere attivato uno sguardo differente, uno sguardo teso a riscoprire quel lato poetico dell’abitare anche del gesto quotidiano, oggi travolto dal frastuono della moltitudine d’immagini in cui siamo immersi che ci sospinge verso quella modalità di sorvolo condannata da Marleau-Ponty; dove l’etimo di poesia, poiesis, fare con le mani, introduce a quella dimensione, tutt’altro che esclusivamente manuale, che dovrebbe essere propria del fare/progettare architettura.
Subjects of the Final Work covered as a thesis supervisor